Un canto di vita nel bel mezzo dello strazio

04 Novembre 2019

di Gao Jing, provincia dello Henan

Nel 1999, ho avuto la fortuna di accettare l’opera di Dio Onnipotente degli ultimi giorni. Attraverso la lettura delle parole di Dio, ho avvertito l’autorità e il potere da esse detenuti, e ho percepito che quelle parole erano la voce di Dio. La possibilità di udire le parole che il Creatore ha espresso all’umanità mi ha toccato più di quanto riesca a descrivere e, per la prima volta, ho provato nel profondo del mio spirito quel senso di pace e gioia che l’opera dello Spirito Santo arreca all’uomo. Da quel momento in poi, sono diventata una sempre più fervida lettrice delle parole di Dio. Dopo essermi unita alla Chiesa di Dio Onnipotente, ho constatato che la Chiesa era un mondo completamente nuovo, del tutto differente da quello della società. Tutti i fratelli e le sorelle erano semplici e gentili, puri e pieni di vita. Sebbene non ci legassero vincoli di sangue e ognuno di noi provenisse da contesti differenti e avesse la sua personale identità, eravamo tutti come spiriti affini che si amavano l’un l’altro, si sostenevano a vicenda ed erano uniti nella gioia. Vedere ciò mi ha fatto provare quanto felice e gioiosa, quanto dolce e meravigliosa sia una vita spesa nell’adorazione di Dio. In seguito, ho letto queste parole di Dio: “In quanto membri del genere umano e cristiani devoti, tutti noi abbiamo l’obbligo e la responsabilità di offrire la nostra mente e il nostro corpo allo svolgimento dell’incarico da parte di Dio, poiché il nostro intero essere è venuto da Dio ed esiste grazie alla Sua sovranità. Se le nostre menti e i nostri corpi non sono votati all’incarico da parte di Dio e alla giusta causa dell’umanità, le nostre anime si sentiranno indegne di coloro che hanno subito il martirio per via dell’incarico da parte di Dio, e ancor più indegne di Dio, che ci ha fornito ogni cosa(La Parola, Vol. 1: La manifestazione e l’opera di Dio, “Appendice 2: Dio sovrintende al destino dell’intera umanità”). Le parole di Dio mi hanno permesso di capire che, in quanto essere creato, dovrei vivere per il Creatore, e dovrei dedicare e spendere tutta me stessa a diffondere e testimoniare il Vangelo di Dio degli ultimi giorni: soltanto questa è la vita più ricca di valore e significato. E così, quando ho saputo che molte persone che vivono in zone estese e remote non avevano mai udito il Vangelo di Dio degli ultimi giorni, con determinazione ho detto addio ai fratelli e alle sorelle della mia città natale e ho intrapreso il mio viaggio per diffondere il Vangelo del Regno.

Nel 2002, mi sono recata a predicare il Vangelo in una remota e arretrata area montagnosa nella provincia del Guizhou. Diffondere il Vangelo in quel luogo richiedeva che camminassi ogni giorno per molti chilometri su sentieri montani, e spesso dovevo affrontare il vento e la neve. Ma, con Dio al mio fianco, non mi sentivo mai stanca, né la percepivo come una difficoltà. Sotto la guida dell’opera dello Spirito Santo, la diffusione del Vangelo ha preso piede in fretta laggiù, e via via sempre più persone hanno accettato traboccanti di vitalità l’opera di Dio degli ultimi giorni e la vita della Chiesa. Guidata dalle parole di Dio, ho trascorso in quel luogo sei anni felici e soddisfacenti. È durata fino al 2008, quando qualcosa fuori dall’ordinario è accaduto all’improvviso, qualcosa che avrebbe mandato in frantumi la gioia e la tranquillità della mia vita…

È accaduto intorno alle undici di mattina del 15 marzo 2008. Io e due fratelli eravamo in riunione, quando d’improvviso quattro poliziotti hanno fatto irruzione dalla porta e immediatamente ci hanno spinti a terra. Ci hanno ammanettati senza dire una parola, poi ci hanno trascinati via e infilati in un furgone. Al suo interno, tutti gli agenti ghignavano con malignità, agitando i loro manganelli elettrici nella nostra direzione e ogni tanto usandoli per infliggerci colpi rapidi alla testa o al busto. Ci hanno insultato selvaggiamente, dicendo: “Figli di puttana! Siete così giovani che potreste fare qualsiasi cosa, e invece no, dovete credere in Dio! Davvero non avete nulla di meglio da fare?” L’essere arrestata così d’improvviso mi ha innervosita molto, e non avevo idea di cosa ci aspettasse. Tutto ciò che potevo fare era invocare silenziosamente e ripetutamente Dio nel mio cuore: “Oh, Dio! Questa situazione ci è capitata oggi perché Tu l’hai permesso. Ti chiedo solo di concederci la fede e di proteggerci perché possiamo restare saldi nel testimoniarTi”. Dopo aver pregato, mi sono venute in mente delle parole di Dio: “Sii fedele a Me a qualsiasi costo e avanza con coraggio; Io sono la roccia della tua forza, perciò confida in Me!(La Parola, Vol. 1: La manifestazione e l’opera di Dio, “Discorsi di Cristo al principio, Cap. 10”). “Sì!” ho pensato. “Dio è il mio sostegno e il mio forte e potente supporto. Non importa in quale situazione mi troverò: fintanto che riuscirò a restare fedele a Dio e schierarmi al Suo fianco, di sicuro sconfiggerò e getterò il disonore su Satana”. L’illuminazione delle parole di Dio mi ha permesso di trovare la forza e la fede, e ho preso dentro di me una decisione: “Preferirei morire che abbandonare la vera via e non restare salda nel testimoniare Dio!”

Una volta arrivati alla stazione di polizia, gli agenti ci hanno rudemente trascinato fuori dal furgone e poi ci hanno portati dentro a forza di urti e spintoni. Ci hanno meticolosamente perquisito dappertutto e hanno trovato del materiale relativo al Vangelo e un telefono cellulare nelle borse dei miei due fratelli della Chiesa. Vedendo che non era saltato fuori neppure un soldo, uno dei malvagi poliziotti ha afferrato uno dei miei fratelli e lo ha picchiato e preso a calci fino a farlo cadere a terra. Dopodiché, siamo stati condotti in stanze differenti per essere interrogati separatamente. Mi hanno interrogata per tutto il pomeriggio, ma da me non hanno ottenuto una sola parola. Erano passate le otto di sera quando ci hanno registrato come tre detenuti anonimi prima di inviarci al centro di detenzione locale.

Appena siamo arrivati al centro di detenzione, due guardie carcerarie donne mi hanno tolto tutti i vestiti di dosso, hanno rimosso da essi ogni oggetto metallico e mi hanno tolto i lacci delle scarpe e la cintura. A piedi nudi e tenendomi su i pantaloni, ho raggiunto la mia cella in preda all’ansia. Quando mi hanno vista entrare, le detenute si sono avventate su di me come in preda alla follia e mi hanno completamente circondata, ponendomi tutte insieme domande sul mio conto. Le luci lì dentro erano così fioche che i loro occhi spalancati sembravano tanti piattini da tè; mi lanciavano occhiatacce e mi squadravano con curiosità da capo a piedi, alcune strattonandomi le braccia, dove toccando e dove pizzicando. Ammutolita, sono rimasta ferma dov’ero, terrorizzata, e non osavo dire una parola. Al pensiero che avrei dovuto vivere in quel luogo infernale con quelle donne, ho provato il desiderio di scoppiare a piangere per la grande ingiustizia subita. Proprio allora, una detenuta che era rimasta in silenzio sul letto di mattoni senza pronunciare parola, tutt’a un tratto ha urlato: “Ora basta! È appena arrivata e non ha idea di come stanno le cose. Non spaventatela”. Poi mi ha porto una coperta in cui potermi avvolgere. In quel momento, ho provato un’ondata di calore, e sapevo bene che non era quella detenuta a essere gentile con me, ma era Dio a servirSi delle persone che avevo intorno per aiutarmi e prenderSi cura di me. Dio era rimasto con me per tutto il tempo e non ero affatto sola. Con l’amore di Dio a tenermi compagnia in quel cupo e angosciante inferno in terra, mi sono sentita incredibilmente rincuorata. A notte fonda, dopo che tutte le altre prigioniere si erano addormentate, ancora non ero neppure vicina a prendere sonno. Pensavo a come, proprio quella mattina, stavo svolgendo i miei compiti insieme ai miei fratelli e sorelle, mentre quella notte ero sdraiata in quel luogo infernale che sembrava una tomba, senza la minima idea di quando ne sarei uscita; provavo una tristezza e uno sconforto impossibili da descrivere. Mentre ero immersa nei miei pensieri, una sferzata di vento gelido è sbucata fuori dal nulla e mi ha fatto rabbrividire incontrollatamente. Ho sollevato la testa per guardarmi intorno e solo allora mi sono resa conto che la cella era esposta alla mercè degli elementi. Accanto al tetto, al di sopra dell’area in cui si trovavano i letti, il resto della cella aveva come copertura una rete fatta di sbarre di spesso metallo saldate insieme, e il vento gelido ci passava tranquillamente attraverso. Di tanto in tanto, riuscivo persino a udire i passi dei poliziotti di ronda che camminavano sul tetto. Non provavo altro che un terrore da gelare il sangue, che mi inondava il cuore insieme al senso d’impotenza e al pensiero di aver subito un torto; piangevo senza neanche rendermene conto. Proprio in quel momento, un passo delle parole di Dio mi è tornato in mente con chiarezza: “Sai che ogni cosa nell’ambiente che ti circonda è lì perché Io l’ho permesso, Io l’ho disposto. Vedi con chiarezza e appaga il Mio cuore nell’ambiente che ti ho dato. Non temere, il Dio Onnipotente degli eserciti sarà certamente con te; Egli vi protegge ed è il vostro scudo(La Parola, Vol. 1: La manifestazione e l’opera di Dio, “Discorsi di Cristo al principio, Cap. 26”). “Sì”, ho pensato. “È stato Dio a permettere al governo del PCC di catturarmi. Nonostante questo posto sia oscuro e spaventoso e io non abbia idea di cosa mi troverò ad affrontare, Dio è il mio supporto, perciò non c’è nulla da temere! O la va o la spacca: io metto tutto nelle mani di Dio”. Avendo compreso la volontà di Dio, mi sono sentita molto più tranquilla, e così ho rivolto a Dio una preghiera silenziosa: “Oh, Dio! Ti rendo grazie per la Tua rivelazione e illuminazione, che mi ha consentito di capire che tutto ciò sta accadendo perché Tu lo permetti. Desidero sottomettermi alle Tue disposizioni e orchestrazioni, ricercare la Tua volontà in questa difficile situazione e guadagnare le verità di cui desideri farmi dono. Oh, Dio! È solo che la mia levatura è così bassa, per questo Ti chiedo di concedermi la fede e la forza e di proteggermi, affinché, indipendentemente dalle torture a cui mi sottoporranno, non Ti tradisca mai”. Dopo aver pregato, mi sono asciugata le lacrime e ho meditato sulle parole di Dio, mentre in silenzio aspettavo l’arrivo dell’alba.

Il giorno seguente, di buon’ora, si è sentito un forte colpo e la porta della cella si è aperta. Una delle guardie carcerarie ha gridato: “Vieni fuori, Ignota!” Ho indugiato per un momento prima di rendermi conto che stava chiamando me. Nella stanza degli interrogatori, gli agenti mi hanno chiesto ancora una volta di fornire il mio nome e indirizzo, e di riferire loro della Chiesa. Non ho detto nulla; mi sono limitata a restare seduta con la testa abbassata. Mi hanno interrogata ogni giorno per una settimana, finché uno di loro mi ha puntato il dito contro e ha gridato: “Cagna! Sono giorni che ti interroghiamo e non hai detto una parola. E va bene, ma adesso aspetta: abbiamo qualcosa da mostrarti!” Detto questo, i due agenti se ne sono andati infuriati sbattendo la porta. Un giorno, al calar della sera, i poliziotti mi hanno nuovamente convocata. Mi hanno ammanettata e infilata in un furgone. Seduta nel retro, non sono riuscita a impedire di farmi prendere dal panico, e ho pensato: “Dove mi stanno portando? È possibile che mi stiano portando in qualche posto lontano da tutto per violentarmi? Mi infileranno in un sacco e mi getteranno nel fiume in pasto ai pesci?” Ero terrorizzata, ma proprio in quel momento alcuni versi di un inno della Chiesa intitolato “Il Regno” hanno iniziato a risuonarmi nelle orecchie: “Egli è il mio sostegno, che timore c’è? Offro la mia vita per combattere Satana. Dio ci eleva, lasciamo tutto alle spalle e lottiamo per render testimonianza a Cristo. Dio compirà la Sua volontà su tutta la terra. Preparerò il mio amore e la mia lealtà e li donerò a Dio. Accoglierò con gioia il ritorno di Dio quando discenderà nella gloria” (Seguire l’Agnello e cantare dei canti nuovi). Una forza inesauribile mi è sorta dentro all’istante. Ho sollevato la testa per guardare fuori dal finestrino e, in silenzio, ho riflettuto sulle parole dell’inno. Uno degli agenti ha notato che stavo fissando fuori dal finestrino e ha subito tirato la tendina per coprirlo, poi si è rivolto a me gridando ferocemente: “Cosa guardi? Abbassa la testa!” Averlo sentito gridare contro di me così di colpo mi ha fatto tremare per lo shock; ho subito abbassato la testa. Quattro agenti stavano fumando nel furgone, espirando di continuo nuvole di fumo, così, ben presto, l’aria all’interno è diventata insopportabilmente nauseante; ho iniziato a tossire. Uno degli agenti che sedevano di fronte a me si è voltato e mi ha afferrato la mandibola con le dita prima di soffiarmi il fumo dritto in faccia. Poi ha detto con malignità: “Lo sai, devi solo dirci tutto quello che sai e non dovrai soffrire minimamente: te ne potrai andare a casa e basta. Sei una donna giovane, e anche molto bella…” Mentre pronunciava quelle parole, mi ha passato le dita in faccia e mi ha strizzato l’occhio con fare lascivo, poi ha riso con cattiveria e ha detto: “Magari ti troveremo anche un fidanzato”. Mi sono voltata dall’altra parte e ho sollevato le mani incatenate per scrollarmi la sua di dosso. Infuriato, lui ha detto: “Oh, come sei forte! Ma aspetta di vedere dove stiamo andando, poi sì che ti comporterai come si deve”. Il furgone avanzava. Non avevo idea di cosa stessi per affrontare, e così l’unica cosa che potevo fare era invocare Dio silenziosamente nel mio cuore: “Oh, Dio! Sono pronta a rischiare tutto ora. Non importa quali strategie questi spietati agenti useranno contro di me: fintanto che mi sarà rimasto in corpo anche un solo respiro, Ti testimonierò in modo forte e possente davanti a Satana!”

Dopo più di mezz’ora, il furgone si è fermato. I poliziotti mi hanno trascinata fuori; ho mosso qualche passo barcollante e mi sono guardata intorno. Si era già fatto completamente buio, e c’erano solamente alcuni edifici abbandonati sparsi qua e là e nessuna luce accesa: tutto aveva un aspetto lugubre e spaventoso. Sono stata scortata all’interno di uno degli edifici. Dentro c’erano una scrivania e un divano; una lampadina che pendeva dal soffitto gettava su ogni cosa una luce terribilmente fioca. Sul pavimento giacevano corde e catene d’acciaio, mentre dal lato opposto della stanza c’era una sedia fatta di sbarre di metallo spesso. Di fronte a questa scena spaventosa non ho potuto frenare un’ondata di panico. Le mie gambe sono diventate gelatina e ho dovuto sedermi sul divano per calmarmi. Poi diversi uomini sono entrati nella stanza e uno di loro mi ha rimproverato con veemenza: “Cosa credi di fare sedendoti lì? È forse tuo, che ti ci siedi sopra? Alzati!” Mentre parlava, si è avvicinato in fretta e mi ha assestato alcuni calci, poi ha afferrato il davanti della mia camicetta, mi ha tirata via dal divano e trascinata alla sedia di metallo. Un altro degli agenti mi ha detto: “Lo sai, questa sedia è una gran cosa. Non devi fare altro che starci seduta per un po’ e ne ‘trarrai beneficio’ per il resto della tua vita. Questa sedia è stata predisposta appositamente per voi credenti in Dio Onnipotente. Non ci lasciamo sedere chiunque. Tu comportati da brava ragazza, fa’ quello che ti diciamo, rispondi onestamente alle nostre domande e non dovrai sedertici. Allora, dicci, perché sei venuta nel Guizhou? Per predicare il tuo Vangelo?” Non ho detto nulla. Un poliziotto dall’aspetto minaccioso che se ne stava da un lato ha puntato un dito nella mia direzione e ha imprecato contro di me, dicendo: “Piantala di fare la finta tonta, dannazione! Se non parli, ti faremo assaggiare quella sedia!” Io ho continuato a tacere.

Proprio allora, una donna dall’abbigliamento provocante è entrata nella stanza; è venuto fuori che quel branco di poliziotti le aveva chiesto di venire e convincermi a confessare. Lei mi ha esortato con falsa gentilezza, dicendo: “Guarda, tu qui sei una forestiera, non hai parenti né amici nei dintorni. Dicci quello che vogliamo sapere, OK? Una volta che ci avrai detto quello che vogliamo sapere, ti troverò un lavoro, e ti troverò un marito qui nel Guizhou. Ti prometto che sarà anche un brav’uomo. E, se non ti interessa, allora potresti venire a lavorare per me come babysitter. Ti pagherò mensilmente. Così potresti stabilirti qui e mettere qualche radice”. Ho sollevato la testa e l’ho guardata, ma non ho risposto. Ho pensato tra me e me: “I demoni sono demoni. Non riconoscono l’esistenza di Dio, mentre compiono ogni sorta di azione orribile per il denaro e il profitto. Ora stanno tentando di servirsi del profitto come mezzo per corrompermi e indurmi a tradire Dio. Come potrei mai cadere preda dei loro subdoli tranelli e trasformarmi in un disonorevole Giuda?” La donna ha capito che le sue parole “generose” non avevano sortito alcun effetto su di me e che aveva perso la faccia davanti agli altri agenti, così si è tolta immediatamente la maschera e si è mostrata per ciò che era veramente. Ha staccato una cinghia dal suo zaino e l’ha usata per frustarmi diverse volte, poi ha lanciato con violenza lo zaino sul divano. Scuotendo la testa esasperata, è andata a mettersi da un lato. Vedendo quel che era accaduto, un grasso e malvagio poliziotto mi ha raggiunto a grandi passi, mi ha afferrata per i capelli e mi ha sbattuto la testa contro il muro più volte, gridandomi contro a denti stretti: “Non capisci quando qualcuno sta cercando di farti un favore? Eh? Non lo capisci? Hai intenzione di parlare o no?” Mi ha sbattuto la testa contro il muro così tante volte da farmi vedere le stelle; la testa mi ronzava, vedevo la stanza girarmi intorno, e sono caduta a terra. Poi l’uomo mi ha tirata su e sbattuta sulla sedia di metallo come se fossi un uccellino. Solo dopo essermi ripresa un po’, sono riuscita ad aprire appena appena gli occhi e ho visto che ancora stringeva in mano una ciocca dei capelli che mi aveva strappato. Mi hanno legata alla sedia dalla testa ai piedi e mi hanno posizionato una spessa lastra d’acciaio davanti al torace. Le mie manette erano attaccate alla sedia, mentre ai piedi avevo catene pesanti decine di chili, anche quelle attaccate alla sedia. Mi sentivo come una statua, incapace di muovere un solo muscolo. Le catene, i lucchetti e le manette, gelidi e pesanti, mi bloccavano contro la sedia di metallo: il dolore era indescrivibile. Vedendomi soffrire, i malvagi poliziotti, deliziati, hanno iniziato a deridermi dicendo: “Il Dio in cui credi non è onnipotente? Perché non viene a salvarti? Perché non ti salva da questa panca della tigre? Faresti meglio a cominciare a parlare. Il tuo Dio non può salvarti, solo noi possiamo. Dicci quello che vogliamo sapere e ti lasceremo andare. Potresti avere una bella vita. Che spreco credere in un qualche Dio!” Ho sopportato i commenti sarcastici di quei crudeli poliziotti con molta calma, poiché le parole di Dio dicono: “Negli ultimi giorni, Dio usa parole, non segni o prodigi, per rendere l’uomo perfetto. Egli utilizza le Sue parole per smascherare l’uomo, giudicarlo, castigarlo e renderlo perfetto affinché, nelle parole di Dio, arrivi a conoscere la saggezza e l’amabilità di Dio e a comprendere la Sua indole, affinché, attraverso le Sue parole, l’uomo scorga le Sue azioni(La Parola, Vol. 1: La manifestazione e l’opera di Dio, “Conoscere l’opera di Dio oggi”). L’opera che Dio compie adesso è concreta, non soprannaturale. Dio utilizza le Sue parole per perfezionare l’uomo e permette alle Sue parole di diventare la nostra fede e la nostra vita. Egli Si serve di situazioni concrete per cambiare la nostra indole della vita, ed è questo tipo di opera concreta che può meglio rivelare il grande potere e la grande saggezza di Dio e meglio sconfiggere Satana una volta per tutte. Prima ero stata arrestata e poi venivo sottoposta a crudeli torture da parte del governo del PCC poiché Dio voleva mettere alla prova la mia fede in Lui e vedere se fossi o no in grado di vivere in accordo con le Sue parole e restare salda nel testimoniarLo. Sapendo ciò, ero disposta a sottomettermi a qualsiasi situazione Dio permetteva che mi accadesse. Il mio silenzio ha mandato su tutte le furie quella banda di poliziotti malvagi, che si sono avventati su di me come fossero tutti quanti impazziti. Alcuni mi hanno assestato forti pugni alla testa, altri mi hanno preso a calci le gambe con violenza, mentre altri ancora mi strappavano i vestiti e mi palpeggiavano il viso. Ribollivo di rabbia davanti alle loro crudeli percosse da vandali. Se non fossi stata legata stretta a quella panca della tigre, avrei dato battaglia senza risparmiarmi! Nei confronti del governo del PCC, quell’organizzazione arcicriminale, non provavo nient’altro che odio fino al midollo, e ho semplicemente dovuto prendere dentro di me una decisione: Più mi perseguitano, più la mia fede crescerà, e crederò in Dio fino al mio ultimo respiro! Più mi perseguitano, più questo prova che Dio Onnipotente è il solo e unico Dio e che sto seguendo la vera via! Di fronte a tali fatti, mi sono resa conto con estrema chiarezza che si trattava di una guerra tra il bene e il male, una lotta tra la vita e la morte, e che ciò che avrei dovuto fare era giurare di difendere il nome di Dio e la Sua testimonianza, e gettare il disonore su Satana con azioni concrete, permettendo, in questo modo, a Dio di guadagnare la gloria. Quei poliziotti malvagi hanno tentato di estorcermi una confessione per svariati giorni di tortura e interrogatori, ma non ho detto loro nulla riguardo alla Chiesa. Alla fine, rimasti a corto di alternative, hanno detto: “Questa qui è proprio un osso duro. Sono giorni ormai che la interroghiamo, ma non ha detto una parola”. Mentre li sentivo parlare di me, sapevo che le parole di Dio mi avevano aiutata a oltrepassare ogni porta infernale che quei demoni mi avevano messo davanti, e che Dio mi aveva protetta affinché potessi restare salda nel testimoniarLo. Dal profondo del cuore, ho silenziosamente reso grazie e lode a Dio Onnipotente!

Per più di dieci giorni di interrogatorio ero rimasta seduta su quella gelida panca della tigre giorno e notte, e avevo la sensazione di essere stata interamente immersa in una grotta ghiacciata. Il freddo mi aveva penetrata fin dentro al midollo, e avevo la sensazione che ogni articolazione del mio corpo fosse stata fatta a pezzi. Uno dei poliziotti malvagi, piuttosto giovane, mi ha visto tremare dal freddo e, allora, ha approfittato della situazione per dirmi: “Faresti meglio a cominciare a parlare! Anche i più resistenti non durano molto su questa sedia. Se continui così, resterai menomata per il resto della tua vita”. Nell’udire quelle parole, ho iniziato a perdere le forze e a sentirmi in ansia, e, allora, ho invocato Dio in silenzio, chiedendoGli di concedermi la forza di sopportare quel tormento disumano e di non fare nulla che potesse tradirLo. Dopo che ho finito di pregare, Dio mi ha illuminato con un inno della Chiesa che era sempre stato uno dei miei preferiti da cantare: “Non mi preoccupo di quanto arduo possa essere il cammino della fede, la mia unica missione è fare la volontà di Dio; tanto meno mi interessa se in futuro riceverò benedizioni o subirò disgrazie. Ora che sono determinato ad amare Dio, resterò fedele fino alla fine. Non importa quali pericoli o difficoltà siano in agguato alle mie spalle, e non importa come finirò; per accogliere il giorno di gloria di Dio, seguo da vicino le Sue orme, sforzandomi di andare sempre avanti” (“Progredire sul cammino dell’amore per Dio” in “Seguire l’Agnello e cantare dei canti nuovi”). Ogni singola parola di quell’inno mi è stata di ispirazione, e l’ho cantato ripetutamente dentro di me. Non ho potuto evitare di pensare al voto che avevo fatto in precedenza davanti a Dio: non importava quali sofferenze o patimenti dovessi subire, avrei comunque speso la mia vita per Dio e sarei rimasta fedele a Lui fino alla fine. E, invece, stavo iniziando a perdere le forze e la risolutezza dopo aver sofferto appena una piccola quantità di dolore: e quella si poteva definire lealtà? Non stavo cadendo preda del subdolo tranello di Satana? Satana voleva che mi preoccupassi della mia carne e tradissi Dio, ma io sapevo che non dovevo permettergli di ingannarmi. Il fatto che fossi capace di soffrire per la mia fede in Dio era ciò che aveva più valore e significato in assoluto, era qualcosa di glorioso, e non aveva importanza quanto soffrissi: non potevo permettermi di diventare una persona infima e patetica che voltava le spalle alla propria fede e tradiva Dio. Una volta presa questa decisione di soddisfare Dio, pian piano ho smesso di sentire così freddo e il dolore ha abbandonato il mio cuore. Ancora una volta, avevo visto con i miei occhi gli atti prodigiosi di Dio e sperimentato il Suo amore. Sebbene i poliziotti non avessero raggiunto il loro scopo, con me non avevano ancora finito. Hanno iniziato a torturarmi a turno, e mi tenevano sveglia ininterrottamente giorno e notte. Se solo chiudevo gli occhi per un istante, mi frustavano con una verga di vimini, oppure mi colpivano con violenza con un manganello elettrico. Ogni volta che lo facevano, mi sentivo attraversare dall’elettricità e tutto il mio corpo cadeva in preda alle convulsioni. Il dolore era così atroce da farmi desiderare di morire. Mentre mi picchiavano, gridavano: “Continui a non voler parlare, dannazione, e vorresti anche dormire! Vediamo se riusciamo a torturarti a morte oggi!” I loro pestaggi si sono fatti sempre più aggressivi, sempre più violenti, e le mie urla disperate risuonavano in tutta la stanza. Dal momento che ero legata così stretta alla panca della tigre e non potevo muovere un muscolo, non avevo altra scelta che subire la loro ferocia. Quei poliziotti malvagi erano ancor più compiaciuti e, di tanto in tanto, scoppiavano in aspre risate. Ero stata sottoposta alle frustate e alle scariche elettriche così a lungo da essere ricoperta di tagli e lividi; viso, collo, braccia e mani erano pieni di ematomi violacei, e tutto il mio corpo era gonfio. A ogni modo, mi sembrava di aver perso sensibilità ovunque, perciò non provavo più tanto dolore. Sapevo che era Dio che Si prendeva cura di me e alleviava il mio dolore, e nel mio cuore Gli ho reso ripetutamente grazie.

Ho sopportato ciò per quasi un mese, finché davvero non ce l’ho fatta più. Avevo un tale desiderio di dormire, anche se solo per un po’. Ma quei demoni erano privi della benché minima traccia di umanità. Nell’istante in cui mi vedevano chiudere gli occhi immediatamente mi gettavano in faccia un bicchiere d’acqua, facendomi svegliare di soprassalto, e ancora una volta dovevo costringermi ad aprire gli occhi. Le mie forze erano allo stremo: mi sentivo come se la mia vita fosse giunta al termine. Ma Dio mi proteggeva costantemente, mantenendo la mia mente sgombra e vigile e la mia fede forte affinché non Lo tradissi. Vedendo che non avevano ottenuto da me alcuna informazione e temendo che potessi davvero morire, gli agenti non hanno potuto fare altro che riportarmi al centro di detenzione. Dopo cinque o sei giorni, ancora non mi ero ripresa dalla loro tortura, ma mi hanno riportata in quel luogo isolato e legata di nuovo alla panca della tigre. Mi hanno nuovamente messo ai piedi quelle pesanti catene e, ancora una volta, hanno tentato di estorcermi una confessione servendosi di percosse, torture e maltrattamenti. Lì, sono stata torturata per altri dieci giorni circa e, solo quando davvero non ne potevo più, mi hanno finalmente riportata al centro di detenzione. Dopo altri cinque o sei giorni, hanno ripetuto tutto da capo ancora una volta. Sei mesi sono trascorsi in questo modo, e non so neppure quante volte mi hanno sottoposta a quel trattamento: era sempre la stessa tortura, ripetuta più e più volte. Mi hanno torturata fino a portarmi al puro e completo esaurimento; nel profondo del mio cuore, ho rinunciato a ogni speranza in una vita a venire. Ho iniziato a rifiutare il cibo e per diversi giorni non ho voluto bere neppure una goccia d’acqua. Allora, hanno iniziato a farmi bere con la forza: uno di loro mi ha tenuto ferma la testa mentre un altro mi ha afferrato il viso, mi ha aperto la bocca e ci ha versato dentro l’acqua. L’acqua mi è uscita dalla bocca, finendomi sul collo fino a inzupparmi i vestiti. Un freddo gelido mi ha attanagliato il corpo e io ho tentato di liberarmi, ma non avevo neppure la forza di muovere la testa. Avendo capito che anche rifiutare il cibo era uno sforzo inutile, ho deciso di cogliere l’occasione, mentre andavo in bagno, per sbattere la testa contro il muro e uccidermi. Trascinandomi dietro quelle catene pesantissime, ho barcollato un passo alla volta in direzione del bagno, appoggiandomi al muro per tutto il tragitto. Poiché ero rimasta a digiuno così a lungo, la mia vista era offuscata e non riuscivo a vedere bene dove mettessi i piedi: sono caduta molte volte prima di arrivare. Attraverso il velo che mi annebbiava gli occhi, ho visto che le catene d’acciaio mi avevano ridotto le caviglie a un ammasso di carne sanguinolenta; il sangue fuoriusciva profusamente. Raggiunta una finestra, ho alzato la testa e ho guardato fuori. Ho visto in lontananza delle persone camminare verso una direzione o l’altra, badando ai loro affari, e, tutt’a un tratto, ho provato un meraviglioso sconvolgimento dentro me, nel profondo, e ho pensato: “Tra tutti quei milioni di persone, quanti credono in Dio Onnipotente? Io sono tra i fortunati, poiché nella folla Dio ha scelto me, una persona così ordinaria, e ha usato le Sue parole per dissetarmi e sostentarmi, guidando ogni passo del cammino che mi ha condotta qui. Sono stata così immensamente benedetta da Dio e, allora, perché desidero morire? Non addolorerei davvero Dio se lo facessi?” Proprio allora, mi sono venute in mente le parole di Dio: “Negli ultimi giorni dovete rendere testimonianza a Dio. Per quanto sia grande la vostra sofferenza, dovreste camminare fino alla fine, e anche al vostro ultimo respiro, dovete ancora essere fedeli a Dio e alla Sua mercé; solo questo è vero amore per Lui e una testimonianza forte e clamorosa(La Parola, Vol. 1: La manifestazione e l’opera di Dio, “Solamente affrontando prove dolorose puoi conoscere l’amabilità di Dio”). Ogni parola, colma di incoraggiamento e aspettativa, mi ha scaldato e ispirato il cuore, e mi sono sentita doppiamente commossa: avevo trovato il coraggio di andare avanti. In silenzio ho rivolto a me stessa un discorso d’incoraggiamento: “I demoni possono solamente straziare il mio corpo, non possono distruggere il mio desiderio di soddisfare Dio. Il mio cuore apparterrà a Dio per sempre. Sarò forte; non mi arrenderò mai!” Poi sono tornata indietro, un passo alla volta, trascinando le mie pesanti catene. Nel disorientamento ho pensato al Signore Gesù, completamente ricoperto di ferite lungo il Suo tortuoso cammino verso il Golgota, che, allo stremo delle forze, portava sulla schiena quella pesante croce, e poi mi sono venute in mente queste parole di Dio Onnipotente: “In cammino verso Gerusalemme, Gesù era in agonia, come se il Suo cuore fosse stato trafitto da un coltello, e ciononostante non ebbe la minima intenzione di rimangiarSi la parola data; c’era sempre una forza potente che Lo obbligava ad andare avanti verso il luogo della Sua crocifissione(La Parola, Vol. 1: La manifestazione e l’opera di Dio, “Come servire Dio conformemente alla Sua volontà”). In quel momento, non sono riuscita a trattenere oltre le lacrime, che sono scese incontrollate lungo le mie guance. Nel mio cuore, ho rivolto a Dio una preghiera: “Oh, Dio! Tu sei così santo, Tu sei supremo, eppure Ti sei fatto personalmente carne per salvarci. Hai sopportato terribile dolore e umiliazione, e sei stato crocifisso per noi. Oh, Dio! Chi mai ha conosciuto il Tuo dolore e la Tua sofferenza? Chi mai ha compreso o apprezzato l’altissimo prezzo che hai pagato per noi? Io sopporto ora questo patimento per poter ottenere la salvezza. E, oltretutto, lo sopporto per poter distinguere chiaramente la malvagia essenza del governo del PCC mentre soffro la crudeltà perpetrata per mano di questi demoni, così da non lasciarmi ingannare o abbindolare mai più dal PCC e liberarmi dalla sua oscura influenza. Eppure, non ho mostrato di tenere minimamente in conto la Tua volontà, anzi ho solo pensato alla mia carne e al mio desiderio di morire per poter porre fine a questo dolore. Sono così vigliacca e spregevole! Oh, Dio! Tu Ti adoperi e soffri per noi sempre, e consacri a noi tutto il Tuo amore. Oh, Dio! Non posso fare nulla ora, ma desidero soltanto offrire a Te tutto il mio cuore, seguirTi fino alla fine al di là di quanto possa soffrire, e restare salda nella mia testimonianza per soddisfarTi!” Non avevo versato una sola lacrima in tanti mesi di crudeli pestaggi e torture; così, quando sono tornata nella stanza degli interrogatori e i poliziotti hanno visto il mio viso bagnato di lacrime, hanno pensato fossi prossima al crollo. Quello grasso sembrava davvero compiaciuto e mi ha sorriso dicendo: “Ci hai pensato su a fondo? Collaborerai?” L’ho ignorato del tutto e lui si è fatto viola in volto all’istante. Di colpo, ha sollevato un braccio e mi ha schiaffeggiato in faccia più volte di quante sia riuscita a contare. Il viso mi bruciava per il dolore, mentre rivoli di sangue mi uscivano dagli angoli della bocca e gocciolavano sul pavimento. Un altro di quei malvagi poliziotti mi ha gettato un bicchiere d’acqua in faccia e ha gridato a denti stretti: “Non ci interessa se non collabori. Questo mondo appartiene al Partito Comunista adesso e, se non parli, possiamo comunque condannarti alla prigione!” Ma non aveva importanza quanto mi intimidissero e minacciassero: lo stesso non ho detto una parola.

Nonostante la polizia non sia riuscita a trovare nessuna prova per accusarmi di alcun crimine, comunque non si è arresa, e ha continuato a tentare di estorcermi una confessione per mezzo della tortura. Una volta, a tarda notte, alcuni di loro si sono ubriacati e sono entrati barcollando nella stanza degli interrogatori. Uno di loro, lanciandomi uno sguardo lascivo, sembrava aver avuto un’idea sul momento e ha detto: “Spogliamola e appendiamola. Poi vedremo se collaborerà”. Sentirlo pronunciare quelle parole mi ha riempita di terrore e, nel mio cuore, ho invocato Dio disperatamente perché maledicesse quelle bestie e sventasse i loro piani osceni. Mi hanno liberata dalla panca della tigre, ma con quelle pesanti catene attorno alle caviglie riuscivo a malapena a stare in piedi. Mi hanno circondata e hanno iniziato a prendermi a calci come un pallone, sputandomi in faccia gusci di semi di melone e gridando ripetutamente: “Collaborerai? Se non ti comporti bene con noi, faremo in modo che la tua vita non valga la pena di essere vissuta! Dov’è il tuo Dio ora? Non è onnipotente? DiGli di fulminarci!” Un altro ha detto: “Wang ha bisogno di una moglie, perché non gli diamo lei? Ahah…” Alla vista delle loro facce demoniache, il mio odio nei loro confronti bruciava a tal punto da seccarmi le lacrime. Tutto ciò che potevo fare era pregare Dio e chiederGli di proteggere il mio cuore affinché non Lo tradissi, e affinché potessi sottostare alle Sue orchestrazioni sia che vivessi o che morissi. Alla fine, i poliziotti malvagi avevano giocato tutte le loro carte, ma ancora non erano riusciti a ottenere da me una sola parola. Rimasti a corto di alternative, non hanno avuto altra scelta che telefonare e riferire la cosa ai loro superiori. “Questa donna è dura come il ferro. Si comporta da eroina. Potremmo picchiarla a morte e comunque non parlerebbe. Non c’è nient’altro che possiamo fare!” Nel vederli così sconfortati, ho reso grazie a Dio nel mio cuore più e più volte. Era stata la guida delle parole di Dio a permettermi di resistere ripetutamente alla loro crudele tortura. Sia resa ogni gloria a Dio Onnipotente!

Nonostante innumerevoli interrogatori fossero stati del tutto infruttuosi, il governo del PCC mi ha accusata di intralcio all’applicazione della legge e condannata a una sentenza di durata fissa di sette anni di reclusione. I due fratelli che erano stati arrestati con me sono stati allo stesso modo accusati e condannati a cinque anni di reclusione. Dopo aver subito otto mesi di torture disumane, nell’udire quel verdetto di sette anni di reclusione, non solo non ho provato alcun dolore o angoscia, ma, al contrario, mi sono sentita a mio agio e, ancor di più, mi sono sentita onorata. Questo perché, negli otto mesi precedenti, avevo sperimentato la guida di Dio a ogni passo del mio cammino e avevo goduto del Suo amore e della Sua protezione senza limiti. Ciò mi aveva permesso di sopravvivere miracolosamente al crudele strazio che altrimenti sarebbe andato ben oltre i miei limiti di sopportazione, ed ero stata in grado di rimanere salda nella mia testimonianza. Quello era il più grande conforto che Dio potesse donarmi, e ho rivolto a Lui ringraziamenti e lodi dal profondo del mio cuore!

Il 3 novembre del 2008 sono stata mandata al Primo Carcere Femminile per scontare la mia condanna, e così ha avuto inizio la mia lunga vita da detenuta. In prigione vigeva un regime di regole estremamente rigido: ci alzavamo alle sei di mattina e cominciavamo a lavorare, continuando per tutto il giorno fino a sera. Le pause per i pasti e per andare in bagno erano cariche di tensione, come se fossimo in una zona di guerra, e a noi detenute non era concesso di rilassarci neppure un po’. Le guardie carcerarie ci sovraccaricavano di lavoro in modo da poterne ricavare ancora più profitto, ed erano meno indulgenti con le credenti in Dio. Vivendo in un ambiente simile, ero in costante stato di tensione: ogni giorno sembrava durare un anno. Mi venivano affidati gli incarichi più duri e pesanti del carcere, e il cibo che mi davano da mangiare non sarebbe stato adeguato neppure per i cani: un panino al vapore mezzo crudo, nero e piccolo, e delle foglie di cavolo vecchio ingiallite e secche. Nel tentativo di far ridurre la mia pena per buona condotta, spesso lavoravo il più duramente possibile dall’alba al tramonto, e restavo sveglia anche notti intere per raggiungere il quantitativo di produzione che andava ben oltre le mie possibilità fisiche. Trascorrevo 15 o 16 ore al giorno in piedi nel laboratorio, girando per tutto il tempo la leva del macchinario semi-automatico per fabbricare maglioni. Le gambe mi si gonfiavano e spesso mi facevano male e cedevano. Eppure, non osavo mai rallentare, poiché guardie carcerarie armate di manganelli elettrici sorvegliavano costantemente il laboratorio; punivano chiunque fosse sorpreso a non lavorare a pieno ritmo e scalavano alle detenute punti di buona condotta. Il lavoro continuo ed estenuante mi ha del tutto sfinita, sia fisicamente che mentalmente. Nonostante fossi ancora giovane, molti dei miei capelli sono ingrigiti e, in svariate occasioni, sono quasi svenuta sul macchinario. Se non fosse stato per la sorveglianza di Dio, avrei potuto morire. Infine, sotto la protezione di Dio, ho ottenuto due opportunità di ridurre la mia pena, e sono riuscita a venir fuori da quell’inferno in terra con due anni di anticipo.

Dopo aver subito otto mesi di brutali torture e cinque anni di carcere per mano del governo del PCC, sono rimasta danneggiata sia nel corpo che nella mente. Per molto tempo dopo il mio rilascio, ho avuto il terrore di incontrare estranei. In particolare, ogni volta che capitavo in un posto affollato e pieno di trambusto, immagini della malvagia polizia che mi torturava riaffioravano alla mia mente e, senza volerlo, provavo dentro di me un profondo senso di terrore e disagio. I ritmi del mio ciclo mestruale erano stati completamente sfasati dall’essere rimasta legata a quella sedia di metallo tanto a lungo, e sono stata aggredita da ogni sorta di malattia. Se ripenso ora a quei mesi dolorosi e interminabili, nonostante abbia sperimentato un’enorme quantità di dolore e sofferenza, ho constatato chiaramente che la “libertà di credo religioso” e “i diritti legali e gli interessi dei cittadini sono tutelati dalla legge” spesso proclamati dal governo del PCC non sono che artifici per nascondere i suoi peccati e la sua essenza malvagia. Nello stesso tempo, ho anche potuto sperimentare veramente e apprezzare l’onnipotenza, la sovranità, l’autorità e il potere di Dio, e ho potuto avvertire la premura e la misericordia di Dio nei miei confronti. Tutte queste cose sono state le preziose e abbondanti ricchezze di vita che Dio mi ha donato. L’opera di Dio è normale e concreta, ed è Lui a permettere che la persecuzione di Satana e dei demoni ci raggiunga. Ma, mentre i demoni si adoperano freneticamente a nostro danno, Dio è sempre lì, a sorvegliarci e proteggerci in silenzio, servendoSi delle Sue parole di autorità e potere per illuminarci e guidarci. Dio ci dona fede e amore, e conquista e sconfigge il nemico Satana, guadagnando, così, la gloria. Rendo lode alla saggezza e all’amabilità di Dio dal profondo del mio cuore!

Ora sono tornata alla Chiesa e sono di nuovo con i miei fratelli e sorelle. Sotto la guida dell’amore di Dio, vivo la vita della Chiesa e, concordi, io e i miei fratelli e sorelle diffondiamo insieme il Vangelo del Regno. La mia vita trabocca di energia e vitalità. Ora sono colma di fede nell’opera di Dio. Posso godere concretamente della meravigliosa vista del Regno di Dio che si manifesta sulla terra, e non posso fare a meno di cantare le Sue lodi! “Il Regno di Cristo è disceso sulla terra, la parola di Dio conquista tutti e regna nel mondo. Ora possiamo vedere tutto con i nostri occhi, tutto è creato e completato dalla parola di Dio. La nuova Gerusalemme è scesa dall’alto dei cieli, il Regno di Cristo è già sulla terra. La parola di Dio vive tra tutti noi, è con noi in ogni mossa e pensiero. Esultiamo! Lodiamo! Celebriamo il Regno di Cristo sulla terra. Esultiamo! Lodiamo! Celebriamo la parola di Cristo che regna sulla terra. […] La bellezza del Regno è infinitamente luminosa. Tutti sulla terra proclamano le parole di Dio, arrendendosi alla Sua parola, adorandoLo. C’è giubilo nell’universo. Celebriamo la Sua opera che si compie e che Egli è santo, onnipotente, giusto e saggio. Dio ci conduce a Cananea da Sé, così da poter godere della Sua abbondanza e ricchezze. Esultiamo! Lodiamo! Celebriamo il Regno di Cristo sulla terra. Esultiamo! Lodiamo! Celebriamo la parola di Cristo che regna sulla terra” (“Il Regno di Cristo è disceso sulla terra” in “Seguire l’Agnello e cantare dei canti nuovi”).

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